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OCCHI APERTI N. 37: E CECATE 'E CARAVAGGIO

Iniziamo a pubblicare, allo scopo di renderli sempre più accessibili, alcuni articoli di approfondimento apparsi sul n. 37 della nostra rivista ufficiale "Occhi Aperti". Iniziamo da un pezzo curioso di cultura popolare partenopea.

Esiste un vecchio proverbio napoletano, o meglio un modo di dire napoletano, che appare curioso e meritevole di una breve ricerca:


"'E CECATE ‘E CARAVAGGIO: ‘NU SORDO P’ ‘E FFÀ ACCUMMINCIÀ E ‘NA LIRA P’ ‘E FFÀ STÀ ZITTE!".


Cominciamo con il darne la traduzione che è: "I ciechi di Caravaggio: un soldo per farli cominciare, ma una lira per farli tacere".
Questa divertente ed icastica antica espressione è usata in primis nei confronti di chi si dimostra restio a parlare, ad esprimere un proprio parere e, per indurlo a sbloccarsi, è quasi necessario offrirgli un piccolo obolo. Costui però, una volta che abbia preso l’abbrivio, si lascia trasportare da un represso desiderio di parlare a ruota libera, facendosi tanto logorroico da diventare fastidioso ed inopportuno. Di conseguenza, per farlo tacere, occorre molto più del primitivo incentivo.
La pittoresca espressione, di cui a seguire chiariremo l’origine, è usata poi, estensivamente e sarcasticamente, nei confronti di chiunque si mostri restio ad iniziare un'attività ed occorra sovvenzionarlo un po’ per incoraggiarlo, ma si sarà successivamente costretti a pagarlo molto di più perché la conduca a termine senza lasciarla a metà.
L’origine di questa graziosissima ed icastica locuzione affonda le sue radici nella storia partenopea dell'Ottocento, precisamente al 1873. In quell'anno il filantropo Domenico Martuscelli Del Duca accolse numerosi giovani non vedenti nella struttura che sarebbe diventata successivamente l’Istituto Martuscelli, ubicato, ancor oggi, in un fabbricato ex convento degli Scolopi e poi dei Barnabiti. Detto istituto, si trovava a Napoli, in piazza Dante, ed era attiguo alla chiesa di Santa Maria di Caravaggio,la quale era stata costruita nel 1627 grazie alle donazioni di un tal benefattore Felice Pignella.
Il tempio venne consacrato alla Natività di Maria e, in seguito, dedicato a Santa Maria di Caravaggio, in ricordo della celebre apparizione mariana avvenuta, in provincia di Bergamo, nel 1432.
La chiesa, a cui era annessa una scuola, fu affidata dapprima ai Padri Scolopi e poi ai Barnabiti. Nel 1873 passò, infine, all'Istituto "Principe di Napoli", poi "Istituto Domenico Martuscelli", dedicato all'istruzione dei giovani non vedenti.
Attualmente, l'altare maggiore è decorato dal dipinto di Gaetano Gigante, raffigurante la Nascita di Maria. Nelle tre cappelle di destra troviamo il dipinto raffigurante San Giuseppe, realizzato da Francesco Solimena, la Madonna della Provvidenza, risalente al XVIII secolo e la Deposizione dalla Croce di Domenico Antonio Vaccaro. Invece, nelle tre cappelle di sinistra, sono conservati il quadro di Sant'Antonio Zaccaria, opera di Luigi Scorrano, la tomba di Beato Bianchi, una statua della Madonna Addolorat e, infine, la tela illustrante l'Apparizione della Vergine alla contadina di Caravaggio, dipinto che, in origine, si trovava sull’altar maggiore.
L’istituto "Principe di Napoli"poi "Istituto Martuscelli" per giovani non vedenti era ubicato nell’ex convento/scuola che faceva corpo unico con la chiesa di Santa Maria di Caravaggio, con la quale era in diretto collegamento tramite una scala/passaggio interno. Gli ospiti dell’Istituto furono detti, popolarmente, ‘e cecate ‘e Caravaggio. Orbene, proprio nel periodo di fine ‘800, vi fu una coppia di giovani non vedenti che, piuttosto che adattarsi ad imparare un mestiere confacente con la loro cecità, preferirono sfruttare le loro doti canore (la natura ti toglie una cosa, ma te ne dà un’altra...) e, armatisi di chitarra e mandolino, che strimpellavano alla meno peggio, presero ad esibirsi con un ridottissimo repertorio che reiteravano, scegliendo segnatamente e quasi stabilmente come teatro delle loro esibizioni un vicoletto sito nei pressi dell’ istituto. Vicoletto i cui abitanti si dimostravano generosi e pazienti, ma non sino a sopportare le ripetitive performances dei due giovanotti. Dopo un po’ , si decisero ad offrir loro un obolo maggiore affinché zittissero o almeno cambiassero zona! All’epoca dei fatti, una lira contava venti soldi, per cui era ben alto il prezzo che dovevano sborsare gli ascoltatori visto che per farli principiare a cantare e suonare ai giovanotti bastava elargire un soldo, ma per farli tacere occorrevano ben venti!

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